Alvaro e Belmoro nel dedalo tantalico
una lettura surrealista
di Francesco Idotta e Maria Grazia Sfameni
Recensione a cura di Eva Gerace
Il surrealismo in Corrado Alvaro, tra distopia e ricerca del sé
La lettura surrealista di Francesco Idotta e Maria Grazia Sfameni getta una nuova luce sull’opera e l’importanza di Corrado Alvaro.
“Rileggere l’opera di Corrado Alvaro in un momento storico nel quale la cultura umanistica cede il passo all’omologazione accademica,
“Rileggere l’opera di Corrado Alvaro in un momento storico nel quale la cultura umanistica cede il passo all’omologazione accademica, non è solo un atto di onestà intellettuale nei confronti di uno degli scrittori più acuti del panorama europeo contemporaneo. Leggere Corrado Alvaro, e liberarlo dai lacci del provincialismo tout court, è il bisogno impellente di un nuovo respiro culturale...” questo quanto si legge nell’aletta di copertina del nuovo saggio Alvaro e Belmoro nel dedalo tantalico, scritto da Francesco Idotta e Maria Grazia Sfameni e pubblicato, lo scorso dicembre, da Città del Sole edizioni.
Fin da subito Idotta, imbattutosi fortuitamente in una rarissima copia del romanzo postumo di Alvaro, Belmoro, ha colto il valore letterario e culturale di un’opera pressoché sconosciuta, che arricchiva di senso interpretativo l’intera produzione alvariana, oggetto da anni dei suoi studi.
Da lì ha avuto inizio un lavoro di ricerca che ha suggerito sempre nuove prospettive, tali da ampliare il panorama di studi sullo scrittore calabrese.
A distanza di qualche anno, quel lavoro di ricerca ha visto la luce integrandosi e arricchendosi di nuove suggestioni, con il contributo della lettura parallela del primo romanzo di Alvaro, L’uomo nel labirinto, ad opera di Maria Grazia Sfameni. L'originalità di tale lettura è la disamina condotta dagli autori, che hanno sottolineato in questo saggio quanto limitata sia stata, fino ad oggi, la visione dell’opera alvariana, condizionata da un’interpretazione esclusivamente meridionalista.
Una lettura completa dell’opera di Alvaro narratore, romanziere, saggista, drammaturgo, critico cinematografico e giornalista rivela inequivocabilmente un respiro assai più ampio, che travalica i limiti del regionalismo e supera i confini nazionali per divenire voce europea dal respiro universale. Alvaro è la voce del Novecento europeo, voce distopica e profetica che molto ha detto e che molto ancora avrebbe da dire, se solo le ristrette dinamiche accademiche ed editoriali si concedessero di ascoltarlo.
A tal proposito, è opportuno evidenziare l’incuria dell’editoria italiana nel non aver per decenni ripubblicato le opere di Alvaro, fatta eccezione per la raccolta di racconti Gente in Aspromonte.
Belmoro ha avuto un’unica edizione che risale al 1957, tale che il romanzo- del quale gli autori auspicano una imminente riedizione- a oggi può definirsi libro raro.
Come dunque leggere Alvaro e quale l’importanza del suo ultimo lavoro? Il surrealismo che permea di sé l’intero romanzo – secondo quanto si evince dal saggio di Idotta e Sfameni- ne fa un’opera di straordinario valore culturale per la letteratura del Novecento, anticipando e, in alcuni casi superando in valore stilistico, il più noto 1984 di George Orwell e le successive opere distopiche diffuse in Europa.
E ancora di surrealismo si parla quando si pensa a come sia nata l’intuizione che ha spinto gli autori ad approfondire l’opera di Alvaro alla luce degli artisti europei più noti trai quali lo stesso Salvador Dalì, la cui Muchacha frente a la ventana campeggia in prima di copertina.
Una passione cresciuta e coltivata nel tempo per un autore che di certo cela molto più di quanto si creda, e un viaggio a Madrid con la visita illuminante al museo Reina Sofia che custodisce la tela di Dalì, ennesima conferma per le intuizioni di Idotta e Sfameni.
Un altro aspetto di questo saggio, che merita di essere evidenziato, è l’attenzione prestata alla dirompente presenza, nell’opera di Alvaro, del Mito, il quale, proprio per la sua funzione catartica e introspettiva, costituisce per l’uomo contemporaneo l’unica via da percorrere per ritrovare se stesso e il proprio ruolo, in una dimensione sociale alienante e disumanizzante. Occorre riscoprire le proprie origini culturali, scendere nel profondo del proprio essere per risalire dal labirinto esistenziale e riappropriarsi della umanità perduta. Per questo Corrado Alvaro è stato un pioniere, ad oggi probabilmente insuperato; bisogna che la cultura italiana ne prenda atto.